mother holding newborn in her arm after birth

Scientific Article

Ormoni nel post-partum

Dr. Alexandre Kim Sangalan Sasaoka


Nella maggior parte dei casi, la gravidanza rappresenta per le coppie, e in modo particolare per le donne, un momento unico, speciale e molto atteso. Tutti gli ideali, le aspettative e i desideri si concentrano sul periodo che precede il parto o, per meglio dire, sul periodo che precede il giorno della nascita del bambino. Nella maggioranza dei casi, le persone tendono a non preoccuparsi del periodo immediatamente successivo alla nascita, il puerperio, che invece può essere un momento davvero unico, delicato e difficile.
Il periodo post-partum, anche noto come puerperio o “quarto trimestre”, coincide con il periodo immediatamente successivo alla nascita del bambino, quando tutti i cambiamenti fisiologici - avvenuti nel corpo della madre e legati alla gravidanza - vengono invertiti e il corpo della donna torna allo stato pregravidico. Oltre a concentrarsi sui cambiamenti fisiologici e sugli eventuali problemi che possono insorgere durante questo periodo, i professionisti sanitari devono tenere in considerazione anche i bisogni psicologici della madre durante il post-partum e a prestare attenzione alle differenze culturali che circondano la nascita di un bambino.1
Convenzionalmente, si concorda che il periodo post-partum inizia subito dopo il parto. In realtà, quando questo periodo finisca non è chiaro: si tende a concordare che termini dopo sei-otto settimane dal parto, quando gli effetti della gravidanza iniziano gradualmente a essere invertiti e il corpo della madre comincia a tornare allo stato pregravidico. Tuttavia, questo ritorno del corpo della donna allo stato originale avviene solitamente in modo lento e spesso a ondate. Per tale motivo, secondo l’American College of Obstetricians and Gynecologists, l’assistenza al puerperio dovrebbe essere fornita fino a 12 settimane dal parto.2
La gonadotropina corionica umana (hCG) è l’ormone principale prodotto durante la gravidanza. I suoi livelli tendono a diminuire subito dopo il parto e la scomparsa dell’hCG nel post-partum segue una curva biesponenziale.3  L’ormone persiste per un certo intervallo di tempo dopo questo calo; generalmente i valori hCG tornano ai normali livelli pre-gravidanza entro due o quattro settimane dal parto a termine, ma in certi casi può essere necessario più tempo.4
Alcune donne lamentano vampate di calore durante il periodo post-partum, sintomi che sono destinati a migliorare nell’arco di diverse settimane.5  La causa non è chiara ma potrebbe risiedere nella disfunzione termoregolatoria che inizia nell’ipotalamo in seguito al calo di estrogeni successivo al parto dovuto all’espulsione della placenta. Inoltre, l’aumento iniziale dei livelli di prolattina (iperprolattinemia) associato all’allattamento al seno riduce la produzione di estrogeni di modo tale da poter contribuire a queste vampate di calore.
Nelle prime due o tre settimane successive al parto, i livelli di gonadotropina e dell’ormone sessuale sono tendenzialmente bassi. Alcuni studi che utilizzavano i livelli di pregnandiolo nell’urina per misurare l’ovulazione in donne che non allattavano, hanno riscontrato che il tempo medio di ritorno alle mestruazioni dopo il parto varia da 45 a 64 giorni, con la prima ovulazione che può verificarsi da 45 a 94 giorni, ma anche -in alcuni casi - dopo soli 25 giorni dal parto.6  L’allattamento al seno tende ad inibire la secrezione dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH), in quanto questa è modulata dalla frequenza di allattamento e dallo stato nutrizionale e dalla massa corporea della madre7, dato che la lattazione rappresenta un carico di energia metabolica. Durante l’allattamento esclusivo al seno, circa il 40% delle donne rimane in stato di amenorrea per sei mesi dopo il parto.8 L’amenorrea durante l’allattamento al seno può essere legata in parte a livelli più alti di prolattina rispetto alle donne che ovulano durante l’allattamento al seno, in quanto la prolattina inibisce il rilascio pulsatile di GnRH dall’ipotalamo. In uno studio, alcune donne che allattavano esclusivamente al seno (con un minimo di sei poppate al giorno per un tempo totale di oltre 80 minuti in 24 ore) hanno presentato iperprolattinemia e amenorrea per almeno un anno dopo il parto.9
L’ingorgo mammario è il risultato di un’infiammazione dei seni ed è accompagnato tendenzialmente da dolore ed elevata sensibilità. Questo può interessare l’areola o estendersi ad aree più periferiche. È dovuto principalmente all’edema interstiziale e all’inizio dell'abbondante produzione di latte. Si verifica generalmente da 24 a 72 ore dopo il parto e normalmente dura da uno a sette giorni, con i sintomi che raggiungono il picco in media trascorsi da tre a cinque giorni dal parto. Tuttavia, può verificarsi anche in un secondo momento se il volume di latte prodotto dalla madre supera quello consumato dal neonato. L’ingorgo mammario può essere fastidioso e può causare una febbre lieve per un breve periodo di tempo; tuttavia, qualunque aumento della temperatura corporea deve essere approfondito per escludere eventuali fonti di infezione. Questa condizione può risolversi in maniera spontanea dopo qualche giorno, ma è possibile ricorrere a eventuali cure di supporto come impacchi caldi o un bagno caldo prima di allattare così da poter eventualmente accelerare la riduzione delle dimensioni e facilitare la fuoriuscita del latte così come impacchi freddi dopo o tra le poppate, massaggi al seno e l’assunzione di analgesici.
Un cloasma sulla pelle è un segno di miglioramento, tuttavia non si sa quando questo si verifichi esattamente.
L’aumento della proporzione di capelli in crescita (fase anagen) rispetto ai capelli a riposo (fase telogen) durante la gravidanza si inverte durante il puerperio. Il telogen effluvium è la perdita di capelli che si verifica comunemente da uno a cinque mesi dopo il parto. Questo fenomeno persiste generalmente per un periodo di tempo limitato e le caratteristiche normali dei capelli si ripristinano da 6 a 15 mesi dopo il parto.
La riduzione del volume uterino associata ai lochi e al liquido intra ed extracellulare in eccesso comporta all’incirca una perdita di 2 fino a 7 kg durante il puerperio.10 Circa metà del peso accumulato durante la gestazione viene perso durante le prime sei settimane dal parto, seguito poi da un tasso di perdita più lento nei primi sei mesi dal parto.11
Indicativamente, cambiamenti fisiologici nel sistema cardiovascolare si verificano nei primi 10 minuti successivi al parto naturale a termine e la gittata cardiaca e il volume sistolico aumentano rispettivamente di circa il 60% e il 70%. Orientativamente, un’ora dopo il parto, sia la gittata cardiaca che il volume sistolico restano più alti (rispettivamente del 50% e del 70% circa), mentre la frequenza cardiaca diminuisce del 15%; la pressione sanguigna resta invece invariata. Gli aumenti nel volume sistolico e nella gittata cardiaca sono probabilmente dovuti al miglioramento nel precarico cardiaco dall’autotrasfusione di sangue utero-placentare allo spazio intravascolare. Man mano che l’utero si riduce di volume dopo il parto, una riduzione nella compressione meccanica della vena cava consente ulteriori aumenti nel precarico cardiaco. Uno studio per valutare la gittata cardiaca e il volume sistolico in 15 pazienti sane senza doglie a 38 settimane di gravidanza e successivamente a 2, 6, 12 e 24 settimane dal parto, ha mostrato una graduale riduzione della gittata cardiaca da 7,42 l/min a 38 settimane fino a 4,96 l/min dopo 24 settimane dal parto.12
I cambiamenti ematologici legati alla gravidanza sono soliti tornare ai valori iniziali trascorse da 6 a 12 settimane dal parto. È importante sottolineare il fatto che lo stato protrombotico normalmente necessita di diverse settimane prima di risolversi autonomamente; pertanto le donne nel periodo post-partum possono essere maggiormente esposte a rischio di disturbi tromboembolici.
Sebbene la nascita di un bambino sia generalmente un evento gioioso, molte donne possono sviluppare sintomi e disturbi depressivi nel periodo successivo al parto.13 Le pazienti possono manifestare depressione post-partum, caratterizzata da sintomi di lieve depressione, generalmente limitati nel tempo, o da sindromi più gravi o un disturbo depressivo maggiore o minore. Se non trattata, la depressione post-partum può avere conseguenze negative sia per la madre che per il neonato.
La patogenesi della depressione post-partum non è nota e non è chiaro nemmeno quanto la sua base differisca da quella della depressione non perinatale14, né se la depressione post-partum rappresenti un sottotipo distinto di depressione. Tra i fattori coinvolti nella depressione post-partum possono esservi una predisposizione genetica, fenomeni epigenetici (ad es. la metilazione del DNA) e cambiamenti ormonali, così come problemi psicologici e sociali ed eventi stressanti.15
Cambiamenti nelle concentrazioni sieriche di diversi ormoni sono associati alla depressione post-partum, incluse le riduzioni di estrogeni e progesterone; altri cambiamenti riguardano il cortisolo, la melatonina, l’ossitocina e l’ormone tiroideo. Sebbene i livelli ormonali normalmente fluttuino durante la gravidanza e dopo il parto, l’aumento della sensibilità a questi normali cambiamenti può predisporre le donne alla depressione.16 Ad esempio, differenze nell'attività di determinati geni nell'ippocampo possono aumentare la predisposizione alla depressione post-partum, rendendo le donne più sensibili al calo di estrogeni che si verifica dopo il parto.17
Fra le prove a sostegno dell’ipotesi che fattori endocrini siano coinvolti nella patogenesi della depressione post-partum vi è uno studio sviluppato per simulare i cambiamenti ormonali che si verificano durante il parto. In questo studio è stato effettuato un confronto tra otto donne con una storia di depressione post-partum e otto senza una storia significativa di depressione.18 Tutti i soggetti sono stati trattati con dosi soprafisiologiche di estradiolo e progesterone, poi sospese gradualmente nell'arco di quattro settimane. L’aumento dei sintomi depressivi durante il periodo di sospensione si è verificato in cinque delle otto donne con una storia di depressione post-partum, ma in nessuna delle donne senza una storia di depressione: i risultati di questo studio condotto suggeriscono che le donne con una storia di depressione post-partum potrebbero essere particolarmente sensibili a cali improvvisi degli ormoni gonadici.
La placenta è un organo endocrino fetale e l’interruzione dell’ormone di rilascio della corticotropina placentare può rivestire un ruolo nello sviluppo della depressione post-partum. Uno studio (n = 100 donne in gravidanza) ha mostrato che livelli elevati dell’ormone di rilascio della corticotropina placentare a 25 settimane di gestazione possono essere un indicatore di depressione post-partum a una media di nove settimane dopo il parto. Uno studio successivo con n = 170 donne in gravidanza ha rilevato che livelli elevati dell’ormone di rilascio della corticotropina placentare a metà della gestazione erano indicativamente associati a sintomi depressivi tre mesi dopo il parto.20
Anche cambiamenti nei neurotrasmettitori possono essere coinvolti nella patogenesi della depressione post-partum. Uno studio su alcune donne nel post-partum ha rilevato che la densità dell’enzima monoamino ossidasi A nella corteccia cingolata prefrontale e anteriore era più elevata fra le donne con depressione post-partum rispetto al gruppo di controllo.21 L’enzima, che metabolizza neurotrasmettitori come dopamina, norepinefrina e serotonina, insieme al rapido esaurimento di tali neurotrasmettitori, potrebbe portare a depressione. Altri studi suggeriscono che l’attività serotoninergica sia ridotta durante la depressione post-partum.22
Uno studio prospettico ha misurato il fattore neurotrofico cerebrale in alcune donne nel post-partum (n = 340) da uno a due giorni dopo il parto e ha rilevato che le concentrazioni sieriche erano inferiori nelle donne (n = 37) che poi sono risultate positive allo screening per depressione tre mesi dopo il parto.23
I sintomi di un disturbo depressivo maggiore unipolare post-partum e di episodi depressivi maggiori che si verificano al di fuori del periodo post-partum sembrano essere simili. Ad esempio, uno studio rappresentativo condotto a livello nazionale negli Stati Uniti ha coinvolto donne con disturbo depressivo maggiore post-partum (n = 81) e donne con disturbo depressivo maggiore non post-partum (n> 1.300). All’interno di ciascun gruppo, lo studio ha esaminato la prevalenza di ciascuno dei nove sintomi depressivi utilizzati per diagnosticare un disturbo depressivo maggiore unipolare e ha riscontrato poche differenze tra i due gruppi.24
La depressione post-partum non trattata può risolversi o spontaneamente o attraverso un trattamento, oppure può svilupparsi in un disturbo depressivo persistente (cronico). Uno studio di campioni clinici e comunitari di pazienti trattate e non trattate ha concluso che gli episodi depressivi maggiori post-partum durano almeno un anno nel 30-50% delle pazienti. Questo dato sembra grossomodo comparabile con quello osservato per episodi depressivi maggiori al di fuori del puerperio.25
La depressione post-partum tende ad avere un effetto negativo sulla routine della madre. Generalmente, è associata a carenze nutrizionali e a cattive condizioni di salute del neonato e può interferire con l’allattamento al seno, con il legame tra madre e figlio, la cura del neonato e, inoltre, con il rapporto della madre e il rispettivo partner. Inoltre, è associata a sviluppo anormale, deficit cognitivo e psicopatologie nei bambini.26
La depressione post-partum può implicare anche pensieri di infanticidio. Questi possono essere descritti come “pensieri spaventosi” e spesso non vengono rivelati, a meno che alle pazienti non venga posta direttamente la domanda. Pensieri di infanticidio sono generalmente considerati inaccettabili e intrusivi. Tuttavia, possono indicare una psicosi della paziente e, pertanto, richiedono una valutazione dei sintomi psicotici, come visioni o allucinazioni.27
È molto importante eseguire una diagnosi precoce con il supporto e la supervisione di un ginecologo specializzato in ostetricia, al fine di garantire che venga adottato l’approccio migliore sulla base dell’entità dei cambiamenti psicologici.
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) combina terapia cognitiva e terapia comportamentale. La terapia cognitiva ha come obbiettivo quello di cercare di modificare pensieri e credenze disfunzionali riguardanti la malattia, mentre la terapia comportamentale mira a tentare di modificare i comportamenti problematici che si verificano in risposta a pensieri disfunzionali, sintomi depressivi e stimoli ambientali.
La psicoterapia interpersonale si concentra sul miglioramento di relazioni interpersonali problematiche o di circostanze direttamente correlate all’episodio depressivo corrente. Tali problemi interpersonali viene fatta menzione dei conflitti sui ruoli (ad es. conflitti coniugali) e cambiamenti nei ruoli (ad es. diventare madre).
L’attivazione comportamentale è una componente della CBT generalmente gestita dai pazienti stessi. L’intervento mira a neutralizzare letargia ed evitamento incoraggiando attività e comportamenti gratificanti, riducendo comportamenti di evitamento e rimuginio, e aiutando le pazienti a migliorare le loro capacità di problem solving.
La consulenza non direttiva (anche chiamata “seduta di ascolto”) mira ad aiutare le pazienti a comprendere e accettare i propri sentimenti, valori e comportamenti. Il ritmo, la direzione e i contenuti sono decisi dalle pazienti; il terapeuta funge da facilitatore, incoraggiando le pazienti a parlare anziché fornire spiegazioni o interpretazioni. Gli infermieri tendono a prestare la consulenza non direttiva a casa delle pazienti, mentre altre forme di psicoterapia sono generalmente fornite presso cliniche da terapeuti in possesso di un dottorato di ricerca.
La psicoterapia psicodinamica mira a migliorare la compressione di conflitti ripetitivi identificando schemi di relazioni, sentimenti e comportamenti; le pazienti lavorano sullo sviluppo di strategie di coping più produttive (meccanismi di difesa).

Alexandre Kim Sangalan Sasaoka

GINECOLOGO

Alexandre Kim Sangalan Sasaoka si è laureato in Medicina nel 2007 presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Santo Amaro a San Paolo, Brasile. Ha completato l’internato triennale in Ostetricia e Ginecologia presso l’Ospedale Santa Casa de São Paulo, prima di proseguire con la specializzazione in Medicina Fetale nello stesso istituto. Si è perfezionato in Chirurgia Fetale al Children’s Hospital of Philadelphia nel 2014 e attualmente lavora presso la sua clinica privata. Ha conseguito un master in Chirurgia Fetale nel campo dell’ostetricia alla Facoltà di Medicina dell’Università Federale di San Paolo, e fornisce anche assistenza sanitaria pubblica.

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